Com'è difficile distillare Palermo: s'è già detto tutto, bene, male, luci, ombre, verità, sciocchezze, leggende.
Cosa sai prima di arrivare a Palermo? Sai la mafia, sai il Gattopardo, sai lo splendore, sai la decadenza, sai gli arabi, sai i normanni, sai il traffico, sai i cannoli, sai i carretti, sai la spiaggia di Mondello, sai Sellerio, sai Santa Rosalia, sai Falcone, sai Borsellino, sai gli arancini (guai: qui si dice arancine!), sai il pane ca' meuza, sai i pupi, sai Vito Ciancimino, sai Ustica, sai Guttuso, sai la coppola, sai Ballarò, sai la Vucciria.
Poi sbarchi - come sono sbarcato io, in un settembre dalla luce speciale - e tutto quello che sai nello stesso tempo si invera e si smentisce, ché Palermo ama contraddirsi, sbugiardarsi. La prima città che vedi l'avevi già letta nel romanzo di Tomasi di Lampedusa: scritto sessant'anni fa, ambientato un secolo e mezzo fa. Proprio vero che tutto cambia, tutto rimane uguale. Ovvero: il fasto e la decadenza, lo sfarzo e lo sconcerto, un passato aristocratico ma retrivo, un progresso necessario ma spietato. E tu, tra l'incudine e il martello, immerso nel presente.
La città vecchia - i quartieri Kalsa, Vucciria, Capo e Albergheria - è un dedalo ingarbugliato come un suk ed esuberante come il barocco delle chiese strabordanti degli effetti speciali d'un tempo: stucchi, marmi, statue, bassorilievi, ori, luci, chiaroscuri, inganni per l'occhio. Fuori c'è la vita brulicante dei mercati, le abbainate (le urla degli astanti), la calca, le merci, i profumi delle pentole che bollono, dentro odori d'incenso, litanie, ex voto, santi e re di pietra che paiono poter prendere vita da un istante all'altro. È dolce e speziato allo stesso tempo naufragare in questo mare, perdendosi tra casino e preghiere, senza capire niente, lasciandosi trasportare dalla corrente.
La seconda città che vedi, sono le cose che non puoi non vedere: il palazzo dei Normanni, la cappella palatina, la cattedrale, i musei, la Zisa, Monreale, palazzo Steri con la grande tela della "Vucciria" di Guttuso (piena di vita ma cupa come un memento mori), l'esotico orto botanico, quel che resta del liberty straziato dai palazzinari, il Massimo, il Politeama, le spaventosissime catacombe dei Cappuccini.
La terza città che vedi è quella che incontri. Palermo sono i palermitani. Se avete in testa stereotipi meridionali, sicuramente sono fondati sui campani. Qui è tutta un'altra musica: il panormita - con l'approssimazione di tutte le generalizzazioni - è più segreto, più gentile, più tagliente, profondamente innamorato di una città che spesso vorrebbe lasciare. È amore e odio, quello tra Palermo e i palermitani, la città è una femme fatale seducente e perniciosa. Amante e mantide.
Gli incontri a Palermo sono importanti come i monumenti, capirete di più della Sicilia bevendo una birra in una drinkeria che visitando il museo di arte moderna.
Io ho avuto fortuna, ho incontrato tante persone speciali. Tanino, lo stigghiolaro della Vucciria, quello che all'imbrunire butta il grasso sulla griglia per attirare col suo messaggio di fumo la clientela che poi soddisfa con interiora, teste d'agnello, salsicce, scalogni, bistecche.
Enzo Sellerio, che sarebbe scomparso pochi mesi dopo, il più caustico degli intellettuali cittadini, un uomo innamorato del bello e imbufalito per gli scempi del cemento.
Roberto Alajmo, lo scrittore che con eccentrica e certosina pazienza ha raccolto tutte le storie dei pazzi di Palermo che raccontano la città meglio di qualsiasi volantino turistico.
Davide Enia - con cui abbiamo sofferto di fronte a un match Milan-Palermo consolandoci con un'orata di due chili comprata dal suo pescivendolo di fiducia al Capo -, il drammaturgo che ha smesso d'essere drammaturgo perché Palermo è ingenerosa con il teatro (ora fa lo scrittore, e con successo).
Mimmo Alba, che s'occupa di fondi europei, che con il suo motorino mi ha fatto scoprire le meraviglie della costa, da Sferracavallo a Mondello, dall'Addaura a Capo Gallo.
Amici recenti ma generosi e golosi che m'hanno fatto gustare le tavole economicissime e saporitissime della città, da Mafone a Rosanero, dal pane ca' meuza di Rocky allo sfincione, da I Cascinari alla frittola, al quarume, ai babbaluci.
Queste e tante altre sono le città che vedrà chi arriva qui: Palermo è cangiante, sfaccettata, difficile da codificare. Quello che ho capito - almeno così penso io dopo averci passato settimane - è che non c'è niente da capire. Del resto, l'ingrediente fondamentale del fascino non è forse il suo enigma?
FONTE| lonelyplanetitalia.it
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